Lettera aperta al mondo della musica

Pubblicato il 12 maggio 2021 • Politica

Il brutto episodio che ha recentemente coinvolto un’agente di polizia mentre stava svolgendo un controllo anti Covid nel centro di Vercelli mi ha molto turbato e mi ha imposto diverse riflessioni. Una, in particolare, trovo particolarmente attuale e importante e riguarda il rapporto che i ragazzi vivono oggi con le forze dell’ordine.

Una giovane madre che, di fronte a una poliziotta intervenuta per arginare un assembramento, prima incita i presenti a ribellarsi ai controlli, poi passa a insultarla e quindi la aggredisce, la prende a pugni e calci, non credo sia da intendere esclusivamente come un episodio isolato ma temo rappresenti il sintomo di un sistema sbagliato, di una relazione che sta perdendo di vista ciò che è importante e mistificando la realtà.

Un gesto che disprezza la dignità di una persona sulla base di una discriminazione e calpesta la credibilità e l’onorabilità delle istituzioni. 

Il sol fatto di invitare al rispetto della legge, indossando una divisa, ha generato quest’esplosione di rabbia.

Una reazione esagerata che, se nella nostra realtà provinciale è ancora fortunatamente molto rara, diviene nel Paese sempre più frequente e che, a mio modo di vedere, rappresenta l’evidenza di un disagio che emerge e trova sfogo sui destinatari sbagliati.

Come e perché questo avvenga è certamente molto complesso e coinvolge inevitabilmente numerosi fattori ma ciò che mi preoccupa è il ruolo che, in queste dinamiche, è stato assunto dalla musica, uno dei principali e più efficaci strumenti comunicativi e di persuasione del mondo dei giovani.

Non è mia intenzione puntare il dito contro questo o quell’altro cantante o genere musicale ma sono convinto che i testi delle canzoni di certi artisti, agli occhi dei giovani veri e propri idoli da imitare, non aiutino assolutamente a creare la giusta prospettiva del mondo.

Bombardati di messaggi tipo “Carabinieri e militari io li chiamo infami. Tutti quei figli di cani. Tu come li chiami?” oppure “L’unica esperienza, davvero unica, ammazzare uno sbirro”, annunciati dal proprio punto di riferimento, i giovani si costruiscono un’idea deviata del Paese, delle istituzioni, del rapporto tra cittadini e forze dell’ordine, della natura dei problemi che la vita pone loro davanti e delle soluzioni da ricercare.

Lungi da me evocare lo spettro della censura, mi chiedo se chi scrive quei testi, chi si presta a fare da megafono a questi messaggi, chi, dall’alto del benessere raggiunto, offre ai ragazzi queste suggestioni, è consapevole dell’influenza che le sue parole avranno sulla mente di chi ascolta, di chi magari sta affrontando un momento di difficoltà, di chi quotidianamente è costretto a fare i conti con vite complicate.

Mi chiedo se queste persone, a mollo nelle loro piscine, sappiano che forse, in qualche misura, hanno contribuito a far sì che nella mente di una donna, di una mamma, si concretizzasse l’idea di sfogare la sua rabbia, le sue preoccupazioni, le sue frustrazioni contro un’altra donna, colpevole di essere “una sbirra”, che diligentemente svolgeva il proprio lavoro, il proprio dovere.

Mi domando, nel caso quel calcio avesse colpito l’occhio dell’agente, causandone con grande probabilità la cecità, se qualcuno di questi propagatori d’odio verso le forze dell’ordine si sarebbe sentito, anche solo per un minuto, un po’ responsabile dell’accaduto.

Non voglio assolutamente criminalizzare qualcuno o banalizzare un problema che, come detto, è molto complicato ma vorrei invitare chi nella società ricopre ruoli delicati a una riflessione profonda sulle possibili conseguenze che l’influenza sulle persone può comportare. Vorrei che ci si fermasse per un attimo a pensare che quei tre minuti di canzone, uniti certamente ad altri fattori, potrebbero portare una donna innocente a perdere la vista, solo per essere stata erroneamente identificata come causa dei problemi oppure ostacolo alla loro risoluzione.

La musica ha un potere enorme, può essere bellissima, terapeutica persino, ma può anche essere altro. Usiamola e godiamola per stare bene fare cose belle, non per odiarci.

 

IL PRESIDENTE

Eraldo Botta